Merlo indiano: come insegnarli a parlare (programma completo)
Scritto da dott.sa Debora Romano nella categoria Uccelli- Perché i merli indiani possono parlare?
- E che significato hanno, per loro, le parole?
- Come scegliere e addomesticare il merlo indiano che imparerà a parlare
- Un "programma didattico" infallibile illustrato con chiarezza
L'uomo è l'essere vivente con gli organi di fonazione meglio perfezionati; subito dopo ci sono gli uccelli ed è appunto fra questi animali che, come abbiamo visto, esistono alcune specie in grado di articolare delle parole e talvolta anche di servirsene per associazione riflessa.
Le prime interpretazioni della capacità di imitazione della parola da parte dei pennuti si basavano su valutazioni eccessivamente ottimistiche delle facoltà intellettuali di questi animali; ora invece alcuni naturalisti tendono a sbagliare in senso inverso, negando la non trascurabile intelligenza degli uccelli parlatori.
Di norma i volatili che hanno imparato a ripetere le parole umane manifestano questa loro capacità solo quando ne hanno voglia o dietro invito dell'addestratore e senza che il loro favellare abbia un senso per l'uomo, ma esistono soggetti che parlano in determinate situazioni, oppure a comando o anche facendo coerente uso di certe parole, di cui hanno inteso il valore.
Fra tutti gli uccelli, come abbiamo già detto, il merlo indiano è la specie potenzialmente meglio dotata in fatto di capacità di apprendimento e di esatta ripetizione delle parole, e in questo articolo vedremo come si deve procedere affinché le sue capacità potenziali si traducano in capacità effettive.
Morfologia dell'apparato fonatorio
L'apparato umano
La voce umana si produce nella laringe, viene poi modulata dalle pareti della faringe (o retrobocca), della bocca e delle fosse nasali e si trasforma in parole.
La laringe è una parte del tubo respiratorio in cui forma e disposizione degli anelli cartilaginei sono modificate, sì da farne uno strumento fonico. Composta da varie parti cartilaginee articolate e mobili per l'azione di muscoli striati, la laringe ha forma quasi cilindrica nelle donne e nei bambini mentre negli uomini risulta più voluminosa, assumendo forma prismatica triangolare, e sporgendo sotto la cute del collo con il cosiddetto "pomo d'Adamo".
Sull'apertura superiore della laringe si protende una cartilagine membranosa a foglia, l'epiglottide, che funge da "coperchio": basta infatti che si abbassi - il che si verifica a ogni movimento di deglutizione - perché si chiuda l'entrata alla laringe. La cavità laringea, che non è uniformemente cilindrica come quella della trachea, presenta nel mezzo una strozzatura limitata da due robuste ripiegature della mucosa; questa è la glottide, e le pieghe che la limitano costituiscono le corde vocali. Nel loro spessore ci sono due piccoli muscoli che, contraendosi, allungano o accorciano le corde vocali, e le avvicinano o allontanano alla linea mediana. Questi movimenti modificano la forma della glottide, che si contrae per emettere suoni acuti e fa l'opposto nella produzione di suoni gravi.
Dunque le capacità vocali dell'uomo sono affidate soprattutto alla laringe.
L'apparato degli uccelli
Diverso invece è l'apparato fonatorio degli uccelli, imperniato non sulla laringe ma sulla siringe (o laringe inferiore).
La laringe degli uccelli, situata dietro la lingua, si presenta come un tubo dalle pareti interne generalmente lisce. L'orifizio della glottide ha la forma di una lunga fessura. Manca l'epiglottide e la chiusura della glottide durante il passaggio degli alimenti avviene per mezzo di due labbra contrattili.
La laringe prosegue in una larga e lunga trachea, di norma cilindrica, che si divide in due bronchi che portano ai polmoni. Nel punto in cui la trachea si biforca nei bronchi si trova una particolare formazione, esclusiva degli uccelli, che è appunto la siringe. Alla sua costituzione prendono generalmente parte gli ultimi anelli della trachea e i primi tre dei bronchi, ma può anche essere di origine esclusivamente tracheale o esclusivamente bronchiale.
La siringe (o "siringa" o "laringe inferiore" o "laringe tracheo-bronchiale") è dunque l'organo vocale degli uccelli e svolge la funzione che nella specie umana ha la laringe.
Perché certi uccelli possono parlare?
Abbiamo visto nel precedente paragrafo che l'organo di fonazione degli uccelli non è lo stesso degli uomini; nonostante ciò alcune specie di uccelli riescono a riprodurre la parola umana. Per vedere come ciò possa avvenire descriviamo ulteriormente il loro organo vocale.
Il meccanismo della parola
La siringe raggiunge la massima perfezione e complessità strutturale nelle specie con particolari qualità canore.
Il lume della siringe, nel punto in cui le pareti dei due bronchi convergono ad angolo acuto, risulta diviso in due cavità simmetriche da un osso trasversale, denominato pessulo (o linguetta). La mucosa tracheale che ricopre i lati di quest'osso si assottiglia in corrispondenza del margine superiore e si solleva a formare una piega, col margine convesso rivolto in alto. Sono le vibrazioni di questa piega della mucosa, la membrana semilunare, che producono i suoni del canto degli uccelli, e le variazioni di tono sono dovute alla diversa tensione prodotta dai muscoli sulla membrana.
L'apparato fonatorio degli uccelli ha una muscolatura connessa col muscolo sterno-ioideo che si suddivide più o meno secondo il suo grado di sviluppo. Nella forma più semplice si ha un muscolo pari che si attacca lateralmente alla trachea, quindi la lascia prima della biforcazione e si attacca al margine craniale dello sterno. Le contrazioni di questo muscolo abbassano la porzione inferiore della trachea e di conseguenza i tubi bronchiali si restringono all'altezza delle membrane oscillanti che, se investite dalla corrente d'aria, vibrano ritmicamente producendo un suono. L'apparato muscolare vocale risulta più complesso nelle specie maggiormente dotate dal punto di vista canoro e il massimo grado di perfezionamento è raggiunto con sette o anche nove coppie di muscoli siringei.
Per le caratteristiche della voce degli uccelli hanno importanza determinante la lunghezza, la larghezza e la struttura della parete della siringe, e la lunghezza dei tubi aerei, che può variare per azione dei muscoli. La trachea è più lunga del collo ed è in grado di ripiegarsi, creando apparati di risonanza che potenziano il tono della voce. L'altezza della voce può essere variata anche con l'allungamento o l'accorciamento del collo: è tipico l'esempio del gallo, che nel lanciare il suo "chicchirichì" arcua e allunga il collo quanto più gli è possibile.
Le capacità fonatorie degli uccelli dipendono anche da rigonfiamenti della parte inferiore della trachea, indicati con il nome di timpano (o labirinto), che possono avere consistenza ossea o membranosa e che in molti casi si trasformano in una siringe tracheale.
Infine ha la sua importanza anche la forma della lingua.
Il significato della parola
Grazie al loro perfezionato apparato vocale molte specie di uccelli emettono tutta una serie di versi che non sono gratuite emissioni sonore, ma assolvono a precise funzioni comunicative.
Allo stato libero nessun volatile potenzialmente parlatore impara a imitare la parola umana, perché questa non fa parte del suo mondo. Al massimo, avendo spiccate doti mimiche, imparano spontaneamente a riprodurre i versi di animali con cui sono in frequente contatto uditivo.
Ma una volta catturati, questi uccelli si trovano inseriti in un ambiente in cui la voce umana echeggia con frequenza, risultando anche collegata a importanti eventi quotidiani, come per esempio la distribuzione del cibo. La loro attenzione è tutta rivolta ai rumori del limitato ambiente che li circonda, un'attenzione che risulta particolarmente accentuata nel caso di pennuti perfettamente addomesticati, legati affettivamente al padrone di cui gradiscono la presenza e la voce. Si sa di merli indiani che in tali condizioni hanno appreso spontaneamente a pronunciare il nome di una persona o altre parole. Per esempio conosco il caso di un pennuto (la sua gabbia si trovava nella stanza in cui c'era il telefono) che aveva imparato spontaneamente a dire "pronto" non appena qualcuno sollevava il ricevitore e "arrivederci" quando questo veniva abbassato, essendo queste le parole usate dal padrone dell'animale nel rispondere al telefono e nel congedarsi. L'animale le ripeteva collegandole all'atto del sollevamento e della posa della cornetta, dando luogo dunque a qualcosa di più di una pura e semplice ripetizione, perché il collegamento mnemonico fra un avvenimento e un suono appreso è già un rudimento di attività cerebrale. E si sono anche avuti casi di uccelli capaci di fare uso appropriato delle parole: dopo aver imparato il nome d'un alimento, l'animale se ne è servito per chiederlo. Si realizza cioè un collegamento mentale tra la parola appresa e il ricordo di un oggetto, il che rappresenta un ulteriore progresso rispetto al caso del telefono, dove la parola risultava collegata alla visione dell'oggetto. In pratica l'animale arriva a collegare la parola con una particolare situazione che desidera prima che questa si realizzi, e ciò equivale a esprimere un desiderio concretando foneticamente un pensiero.
L'animale allo stato domestico arriva quindi a fare uso ragionato delle parole apprese, così come spesso sono ragionate in natura le varie emissioni foniche che servono a segnalare un pericolo, a richiamare un compagno, a lanciare versi di minaccia nei confronti d'un rivale...
Non bisogna però illudersi che sia facile ottenere un apprendimento spontaneo da parte del merlo indiano (o degli altri uccelli potenziali parlatori) in quanto tale evento è legato a una serie di fattori che assai difficilmente si realizzano tutti insieme, senza un preciso intervento dell'allevatore.
Non bisogna inoltre dimenticare che anche i cicalecci, i canti, i fischi e le grida con cui gli alati comunicano in natura con i propri simili sono solo in parte patrimonio ereditario, risultando anche frutto dell'apprendimento in età giovanile. E così, come i giovani uccelli in libertà hanno bisogno dell'ammaestramento degli adulti per perfezionare il proprio repertorio vocale, parimenti i soggetti potenziali parlatori in cattività hanno bisogno dell'insegnamento dell'uomo per imparare a ripetere le sue parole: insegnamento che risulta più agevole con volatili molto giovani, nell'età naturale per l'apprendimento.
Perché addestrare alla parola il merlo indiano?
Alla domanda contenuta nel titolo di questo paragrafo la più logica risposta è: perché si desidera possedere un volatile parlatore.
In commercio è molto difficile reperire volatili già addestrati a parlare, e in ogni caso per questi animali sono richiesti prezzi esorbitanti. Il sistema migliore è pertanto quello di acquistare un giovane merlo e addestrarlo alla parola secondo i consigli che verranno forniti più avanti. Un già piacevole volatile ornamentale verrà così trasformato in un animale da compagnia particolarmente interessante e raro.
E il processo di addestramento può essere considerato alla stregua d'un piacevole passatempo al quale dedicare alcune delle proprie ore libere.
Scelta del soggetto da addestrare
I bambini imparano spontaneamente a parlare vivendo con i genitori. Ben più difficile risulta invece per gli adulti apprendere una seconda lingua. Lo stesso vale per i merli indiani e per gli altri volatili potenziali parlatori. La giovinezza è una qualità molto importante nel soggetto da addestrare. Per quanto si possa insegnare a parlare anche a soggetti adulti, è preferibile scegliere l'allievo non appena sia stato svezzato, o comunque molto giovane. L'ideale sarebbe un soggetto nato nel proprio allevamento (purtroppo sono difficili da riprodurre in cattività) e isolato subito dopo lo svezzamento. Le prime settimane dopo lo svezzamento sono le più redditizie sia per l'addomesticamento sia per l'addestramento alla parola.
È indispensabile anche un perfetto stato di salute; i soggetti indisposti vanno lasciati tranquilli sino alla guarigione.
Per quanto concerne il sesso bisogna dire che la potenziale capacità di apprendimento della parola è la stessa, sia nei maschi sia nelle femmine; non esistono quindi motivi preferenziali per l'uno o l'altro sesso, il che è un vantaggio nella scelta del merlo da addestrare in quanto, come abbiamo visto, questi animali non presentano dimorfismo sessuale evidente. La conformazione degli apparati di fonazione degli uccelli è uguale in entrambi i sessi, anche per quelle specie che presentano differenti capacità canore tra maschio e femmina; il sesso non ha quindi nessuna importanza nel campo delle capacità mimiche.
In un soggetto da addestrare alla parola ha importanza basilare la domesticità, per ottenere la quale bisogna in genere attuare un procedimento preliminare al quale è dedicato il prossimo paragrafo.
La preparazione dell'allievo
La condizione essenziale perché si possa addestrare un volatile alla parola è che esso sia perfettamente addomesticato. Tutti gli uccelli parlanti sono di indole eccezionalmente domestica.
Non basta che il volatile si sia perfettamente adattato alla vita di gabbia o di voliera; è indispensabile che sia anche in piena confidenza col padrone.
Cioè, oltre che domestico deve essere anche addomesticato.
I polli, per esempio, sono animali domestici per eccellenza ma non sono addomesticati in quanto fuggono se un uomo cerca di avvicinarli. Anche i canarini, pennuti che si riproducono ormai da secoli in gabbia, sono animalucci perfettamente domestici ma in genere non sono addomesticati, perciò palesano timore quando l'uomo maneggia il loro contenitore o vi introduce una mano. Per contro ci sono animali selvatici che, pur non appartenendo ovviamente a una specie domestica, possono con paziente processo di addomesticamento arrivare alla completa confidenza con l'uomo, più di molti animali domestici; sono cioè addomesticati senza essere domestici.
Ciò che conta dunque nei volatili da addestrare alla parola è che si tratti di soggetti completamente addomesticati anche se, com'è in genere il caso dei merli indiani, sono di cattura e non nati in cattività.
La preparazione dell'allievo da addestrare alla parola deve perciò tendere a far scomparire ogni diffidenza nei confronti dell'uomo. Di più: l'allievo deve affezionarsi al padrone, in modo da gradirne e desiderarne la presenza.
Allo stato libero la maggior parte degli uccelli tendono a comunicare emettendo con frequenza i loro versi; tacciono per contro all'apparire di altri esseri di cui temono la presenza. Perciò gli uccelli da addestrare alla parola devono essere domestici al punto da non provare alcun timore per la presenza umana.
Ma per ottenere i migliori risultati è necessario che il merlo indiano, oltre a non avere paura dell'uomo, ne desideri la vicinanza come in natura desidera quella dei suoi simili: solo così sarà portato istintivamente ad avere con l'addestratore quello scambio di emissioni sonore che per l'animale ha un valore di rapporto affettivo, la parola venendosi a sostituire al naturale verseggiare che lega fra loro le coppie, i nuclei familiari e i membri del branco.
Da soggetti perfettamente addomesticati l'uomo riuscirà a ottenere tutta l'attenzione indispensabile per un proficuo addestramento alla parola.
Fasi dell'addomesticamento
Vediamo ora come preparare l'allievo da addestrare alla parola, cioè come si deve procedere per ottenerne l'addomesticamento completo.
Di norma conviene tenere il soggetto isolato a meno che non si disponga di altri volatili già addomesticati, la cui presenza, anzi, potrebbe essere utilissima.
Per prima cosa bisogna abituare il pennuto a non temere l'introduzione della mano nella gabbia, il che verrà fatto con cautela tenendo fra le dita un boccone particolarmente gradito. Bisogna insistere nell'offerta per alcuni minuti, più volte al giorno, con la necessaria pazienza, sino a quando l'animale verrà a becchettare il cibo tenuto in mano dal padrone: a questo punto il più è fatto.
Si continuerà a offrire ghiotti bocconi in questo modo per vari giorni, sino a quando la presenza della mano umana all'interno della gabbia sarà del tutto normale. Una volta che l'animale è abituato alla vicinanza della mano, la si spinga lievemente contro il suo petto per indurlo a montarvi sopra, cosa che farà all'inizio con qualche esitazione. In breve, però, la mano del padrone diventerà per l'uccello familiare al pari dei posatoi della gabbia. Dopo essersi accertati che le finestre della stanza in cui si trova la gabbia sono ben chiuse e che non vi siano fornelli accesi, recipienti pieni d'acqua o oggetti taglienti o appuntiti contro cui l'animale possa ferirsi, si apra uno sportello del contenitore in modo che il volatile si abitui a salire sulla mano del padrone anche fuori da esso. Bisogna continuare a parlargli gentilmente, con tono sommesso, durante tutto il tempo che viene tenuto fuori, appollaiato sulla mano. Ripetendo con frequenza questa procedura, presto il merlo indiano compirà dei voli con disinvoltura e si poserà nei punti di sua scelta curiosando intorno. Così l'animale perfettamente addomesticato avrà anche una completa familiarità con l'ambiente in cui vive.
A questo punto lo si può considerare pronto ad andare a "scuola di dizione".
Come impartire le lezioni
Il timbro della voce dell'insegnante ha molta importanza nel successo dell'addestramento alla parola.
Le intonazioni delicate e acute danno i migliori risultati; sono quindi più indicate le voci dei bambini e delle donne, mentre quelle dure e baritonali di certi uomini possono non risultare gradite ai volatili e in ogni caso rendono di meno. Per questo motivo l'addestratore, soprattutto se è uomo, deve cercare di parlare con il tono più dolce possibile, sempre con calma e scandendo bene le parole.
È opportuno cominciare a insegnare una sola parola, o al massimo due collegate fra loro.
La sera è il momento migliore per effettuare le lezioni, in quanto il merlo è più calmo e perciò maggiormente disposto a prestare attenzione al padrone.
Per nessuna ragione si deve passare all'insegnamento d'una nuova parola sino a quando la precedente non è stata perfettamente appresa, altrimenti si potrebbe ingenerare grave confusione nell'allievo.
Le parole formate da più sillabe vanno pronunciate staccate, nettamente scandite.
L'insegnante deve essere la persona cui l'animale è più affezionato, e non può essere sostituito da un altro membro della famiglia perché una diversa voce disorienta l'allievo.
È buona norma ricompensare ogni progresso mimico della bestiola con la somministrazione d'un ghiotto boccone.
Il merlo da addestrare alla parola va isolato in una confortevole gabbia sistemata in un ambiente il più possibile tranquillo, dove non giungano i rumori del traffico cittadino, gli schiamazzi dei bambini o altri rumori di qualsiasi genere, compresi i versi di altri animali.
In mancanza d'un locale veramente tranquillo si scelgano almeno, per impartire le lezioni, i momenti della giornata di maggior calma.
Quali parole insegnare
Ogni allevatore può naturalmente scegliere le parole che preferisce per insegnarle al proprio merlo indiano; è necessario però che tali parole abbiano determinate caratteristiche per non rendere troppo difficile l'apprendimento.
Soprattutto per iniziare l'addestramento alla parola si scelga un vocabolo breve (preferibilmente mono - o bisillabico) e chiaramente pronunciabile.
Tenere presente che le parole apprese dal merlo indiano entrano a far parte del suo repertorio vocale; verranno ripetute in determinate occasioni con frequenza variabile da soggetto a soggetto, anche in rapporto al rimanente bagaglio di versi dell'animale. In genere accade che la parola o le parole imparate vengano ripetute più volte in un giorno. Perciò è opportuno che tale repertorio sia scelto con discernimento da parte dell'allevatore al momento di dare inizio all'insegnamento: parole o frasi legate a situazioni momentanee, che con il passare del tempo perdono il loro primitivo significato scherzoso, non vanno prese in considerazione perché alla lunga sarebbe estremamente noioso sentirle ripetere in continuazione.
In linea di massima conviene cominciare con l'insegnare al pennuto una breve parola di saluto come "ciao", "salve", "buondì", alla quale in seguito l'addestratore può aggiungere il proprio nome così che il saluto abbia una precisa destinazione.
Si può anche insegnargli il nome che gli è stato imposto, perché si tratti d'un nome semplice e breve; oppure il vocabolo corrispondente a un alimento particolarmente gradito, facendo in modo che alla pronuncia della parola corrisponda sempre l'offerta di quel cibo. Se per esempio un merlo predilige le banane, una volta che avrà appreso a pronunciare la parola "banana" potrà facilmente esortare il padrone a offrirgliela.
Alcuni soggetti non riescono a ritenere più di una o due parole, ma in genere il vocabolario d'un merlo indiano è più ricco: alcune dozzine di parole e anche qualche semplice frase non costituiscono risultato eccezionale per un insegnante abile e paziente che disponga d'un buon allievo.
In tal caso si può dare una parvenza di ragionamento al parlare del merlo, facendo in modo che certe parole vengano pronunciate solo a un determinato segnale.
Tanto per fare un esempio si può insegnare al volatile a pronunciare "viva il governo" e poi, mostrandogli magari una cartella delle tasse, a dire invece "abbasso il governo". Superfluo sottolineare che questo tipo d'insegnamento presuppone molto dispendio di tempo e di pazienza da parte dell'istruttore, nonché la disponibilità d'un allievo con notevolissime capacità mimiche.
Si eviti l'insegnamento di parole appartenenti a lingue diverse. Vi sono stati casi di volatili particolarmente dotati capaci di apprendere parole di molte lingue, ma in linea di massima, soprattutto all'inizio dell'insegnamento, è bene scegliere solo parole della lingua che è abituato ad ascoltare.
Le fasi dell'insegnamento
Nei precedenti paragrafi abbiamo visto che per addestrare alla parola un merlo indiano bisogna scegliere un soggetto
- Giovane (maschio o femmina non importa).
- In perfetto stato di salute.
- Completamente addomesticato.
Abbiamo visto che questo soggetto va
- Isolato in una gabbia confortevole.
- Addestrato in un locale il più possibile tranquillo.
Dopo una scelta ragionata della parola o della frase da insegnare, le lezioni vanno impartite con
- Voce calma e dolce.
- Scandendo bene le parole.
Non bisogna mai passare all'insegnamento d'una nuova parola se la prima non è stata perfettamente appresa.
Abbiamo altresì visto che l'insegnamento può essere effettuato
- A viva voce.
- Con l'ausilio d'un registratore.
Nel secondo caso è opportuno utilizzare l'apparecchio anche nelle ore notturne.
Ricapitolato ciò, vediamo come procedere nelle varie fasi dell'addestramento alla parola:
- Prima settimana. Si ripeterà varie volte ogni giorno all'allievo la parola (o la breve frase) prescelta, senza attendersi alcuna particolare reazione.
- Seconda settimana. Si continuerà pazientemente a ripetere la lezione, alla quale è sperabile che il merlo cominci a prestare maggiore attenzione.
- Terza settimana. Si può cominciare a sperare che il volatile cominci a emettere dei gorgoglìi come un sommesso chiacchiericcio, una serie di suoni che differiscono dai versi naturali e ai quali l'addestratore deve replicare ripetendo con insistenza la parola o le parole oggetto dell'insegnamento.
- Quarta settimana. Aumentano le possibilità che l'uccello cominci a emettere i primi suoni che segnalano il tentativo di ripetere la parola oggetto d'insegnamento. Col passare dei giorni questi suoni si rendono sempre più distinti.
- Secondo mese. Dovrebbe giungere il momento in cui si resta lietamente sorpresi dalla prima parola, ripetuta con voce il più delle volte talmente chiara da somigliare incredibilmente a quella umana. Dopo questo successo tutto diventa più facile, in quanto il volatile è ormai arrivato a mutare la sua voce naturale in quella dell'uomo.
- Terzo mese. Non bisogna essere precipitosi. Si lasci il tempo al merlo per continuare a ripetere la lezione appresa in modo da farla totalmente propria, e per perfezionarsi nell'intonazione avvicinandola maggiormente a quella umana.
- Quarto mese. Ora si possono far imparare altre parole (sempre una per volta) e si constaterà che l'apprendimento risulta più rapido che non all'inizio. In ogni caso non bisogna
lasciarsi prendere la mano dall'entusiasmo precipitando il susseguirsi delle lezioni perché il procedimento deve rimanere sempre lo stesso, con calma e per gradi.
Il merlo indiano da addestrare alla parola va tenuto separato da altri volatili, ma una volta ultimato l'insegnamento alla parola può vivere benissimo insieme ad altri uccelli, poiché i vocaboli appresi rimarranno incancellabili nella sua mente. Se si possiedono altri merli si tenga presente che la presenza fra essi d'un soggetto parlatore può stimolarne le doti imitative, spingendoli ad apprendere alcune parole o tutto il repertorio del compagno già addestrato.
Durata del periodo d'insegnamento
Nel precedente paragrafo abbiamo schematizzato lo svolgersi delle varie fasi dell'insegnamento della parola in un periodo compreso fra i due e i tre mesi, perché è questo il lasso di tempo in cui un bravo ammaestratore può raggiungere il successo con un buon allievo in condizioni ottimali.
Ma la durata del periodo d'insegnamento può essere anche abbreviata, come può risultare assai più lunga. Può anche capitare un soggetto refrattario a ogni insegnamento anche se ciò in genere non si verifica con i giovani merli ben tenuti e in perfetta salute, nonché convenientemente addestrati. Se il volatile non è giovane e completamente addomesticato, se non è tenuto in ambiente comodo e tranquillo, se l'allevatore non insegna con la dovuta pazienza, abilità e costanza, i risultati possono tardare molto, o non realizzarsi affatto. Altrimenti, un periodo di due-quattro mesi è sufficiente a fare del proprio merlo indiano un uccello parlatore.
Debora Romano ha una laurea in biotecnologie veterinarie e si è specializzata nella stesura di articoli scientifici sugli animali da oltre dieci anni. È esperta in report scientifici, analisi dei dati e ricerca scientifica.