Il ritorno a casa del gatto: il fenomeno dell'homing nei gatti

Scritto da dott.ssa Barbara Lombardi

Ogni tanto capita di sentire parlare di gatti che percorrono distanze lunghissime per tornare dai padroni o che vengono ritrovati in una casa dove abitavano in passato, lontana anche centinaia di chilometri. In realtà è abbastanza comune che, dopo aver traslocato in un posto vicino a quello precedente, alcuni padroni ricevano telefonate dai nuovi inquilini per un motivo ben preciso: il loro gatto si è presentato alla loro vecchia casa. Com'è possibile questo fenomeno?

Cos'è l'Homing?

L'Homing ("ritorno a casa") è l'abilità che alcuni animali e uccelli hanno di ritrovare la via di casa partendo da un posto sconosciuto o poco famigliare. Per casa intendiamo sia la loro dimora, che il posto dove sono stati allevati. Questa abilità è stata osservata in alcuni altri animali e in particolar modo tra i piccioni. L'homing è usato da molte specie come guida per tornare a casa dopo la migrazione. Il termine si usa spesso per indicare il ritorno, anche ad anni di distanza, nel posto in cui gli animali sono stati allevati, come nel caso dei salmoni. Questa abilità è usata anche dagli animali per tornare in territori famigliari dopo essere stati dislocati, come nel caso del tritone dal ventre di fuoco.

Esempi di homing nei gatti

Ci sono molti casi di gatti che hanno percorso diversi chilometri per tornare ad una vecchia casa. Un gatto di nome Tigger è diventato famoso per aver percorso 75 volte i cinque chilometri che lo separavano dalla sua vecchia casa, il tutto con sole tre zampe. E poi c'è stato Pilsbury, un gatto che ha fatto avanti e indietro dalla sua vecchia casa 40 volte, percorrendo ogni volta più di dodici chilometri.

Ci sono anche storie che riguardano gatti che hanno viaggiato decisamente più lontano. Per esempio, Sushi è diventata famosa ed è comparsa su tutti i giornali di animali del mondo nel settembre 2013, quando è ricomparsa dopo due anni dall'incendio della sua casa vicino ad Austin in Texas, in cui si erano perse le sue tracce. Nessuno sa dove sia stata per tutto questo tempo, ma quando è tornata con lei c'era anche un gattino randagio. Poi c'è Ninja, che si è trasferito con la sua famiglia da Farmington nello Utah a Mill Creek nello stato di Washington. Nonostante l'enorme distanza, ha deciso di lasciare la nuova casa e di tornare nello Utah, percorrendo la bellezza di più di 1300 chilometri in un anno.

La storia più incredibile è forse quella di Howie, un gatto Persiano che ha viaggiato per più di 1600 chilometri attraverso l'Australia per ritornare a casa.

Com'è possibile un fenomeno come l'homing?

Alcuni scienziati hanno scoperto che ci sono uccelli migratori (come le oche) che riescono a trovare la via di casa utilizzando come punti di riferimento rocce e paesaggi oppure tenendo conto dell'orientamento del sole, della luna e delle stelle. I salmoni, invece, riescono ad utilizzare gli odori per ritrovare la via di casa anche a migliaia di chilometri di distanza. Esistono anche animali che usano le cellule magnetiche che si trovano nel loro cervello per riuscire ad orientarsi verso nord.

Rimane un mistero, però, come facciano i gatti a fare una cosa del genere. Questo perché i gatti, non muovendosi in branchi come gli uccelli migratori, sono difficili da studiare.

Nonostante molti considerino non etico fare esperimenti sui felini, alcuni sono stati effettuati.

Esperimenti sull'homing dei gatti

Nel 1922 Harrick fece un esperimento per testare l'homing servendosi di una gatta: la trasportò in sette diversi luoghi, che distavano da 1 a 5 chilometri dalla sua casa. Inoltre lasciò una cucciolata di gattini in età da svezzamento che l'aspettavano a casa, cosi da assicurarsi che la gatta sarebbe tornata indietro. La gatta veniva trasportata in macchina, chiusa in un sacco di iuta, e una volta raggiunto il luogo stabilito veniva messa sotto una scatola di legno. Una volta liberata dalla scatola, Herrick osservava i comportamenti della gatta, fino a quando lei non si allontanava; poi lo scienziato tornava dai cuccioli e attendeva il suo ritorno. L'esperimento si concluse quando, dopo averla lasciata a più di 25 chilometri di distanza, la gatta non riuscì più a trovare la strada di casa. Per quanto riguarda i poveri gattini, non sono riusciti a capire cosa gli sia successo.

Se non teniamo conto delle ripercussioni etiche, questo esperimento ha portato a dei risultati molto interessanti. In ogni scenario, la gatta sembrava conoscere la direzione giusta non appena veniva liberata. Successivamente, nel 1954, alcuni ricercatori scoprirono che il medesimo esperimento non aveva lo stesso successo quando si cercava di aumentare la distanza a più di 5 chilometri. Le prove aneddotiche ci dicono che ci sono gatti molto più capaci di fare homing rispetto a quelli testati e che, quindi, alcuni gatti saranno più portati rispetto ad altri. In una specie come quella dei gatti, in cui le variazioni da individuo a individuo sono moltissime, questa conclusione non ha sorpreso nessuno.

Teorie sull'homing

Nonostante le prove vere e proprie non siano molte, c'è un gran numero di teorie che riguardano l'homing.

Alcuni ricercatori pensano che l'homing sia dato da una particolare sensitività al campo magnetico della Terra, che permette ai gatti di avere la propria casa come punto di riferimento per orientarsi, anche a chilometri di distanza. Forse questa sensibilità non è sviluppata allo stesso modo in tutti gli individui, perciò non tutti i gatti avranno la stessa capacità di homing.

Un'esperta di comportamenti animali ha ipotizzato che l'homing potrebbe essere genetico: ogni felino, infatti, possiede questa abilità e alcuni saranno predisposti ad avere un senso dell'orientamento migliore rispetto ad altri. La studiosa ha anche aggiunto che l'homing non si apprende grazie all'esperienza, dato che è presente sia nei gatti randagi e in quelli domestici, e sarà più forte nei felini più motivati a tornare a casa per svariati motivi, come la presenza di cuccioli, di un rifugio, di cibo, etc.

Le teorie però sono molto varie. Un ricercatore ha affermato che è possibile che i gatti si basino su un sistema somatosensoriale, in quanto è probabile che posseggano una struttura cellulare con polarità geo-magnetica che unisce stimoli olfattivi e magnetici.

Lo studioso continua, affermando che:

"Un'altra ipotesi si basa sul disequilibrio che si forma quando due individui uniti tra loro vengono separati. Questo fenomeno si chiama Teorema di Bell. Secondo questo teorema tutti gli elettroni lavorano in coppia, seguendo un moto opposto l'uno dall'altro, e quando il movimento di un elettrone cambia, l'altro lo segue. Questo teorema è stato provato anche nello spazio: quando il moto di un elettrone veniva modificato, il suo corrispondere sulla Terra rispondeva immediatamente, alterando anche il suo movimento. Quindi, forse, quando tra un gatto e la sua famiglia c'è un rapporto molto stretto e questo rapporto viene interrotto, si crea un disequilibrio che porta il felino a tornare a casa per ristabilire l'omeostasi."

Conclusioni

Tutte queste teorie sono molto interessanti, ma rimangono solamente teorie, in quanto non c'è ancora una vera e propria spiegazione che ci aiuti a capire come facciano i gatti a tornare a casa, o del perché la stessa cosa non accada negli esseri umani. Questa capacità rimarrà uno dei tanti misteri che circondano queste bellissime e affascinanti creature: i nostri gatti.

dott.ssa Barbara Lombardi

Barbara Lombardi è una veterinaria nonché scrittrice freelance specializzata sul tema della salute e del benessere degli animali domestici. Amante appassionato di cani e gatti, Barbara ha una grande esperienza nella scrittura di articoli sulla cura dei nostri amici animali.

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